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“Andiamo a trovare Gesù ammalato  e anziano”

Sfogliando il Vangelo notiamo

un duplice legame tra Gesù e i poveri: fin dall’inizio della missione dichiara di essere inviato ad annunciare il lieto messaggio ai poveri, la liberazione ai prigionieri, la vista ai ciechi, ecc. (Lc 4,18). Per altro verso s’identifica con il prigioniero, l’ammalato, ecc (Mt 25,31). Quindi Gesù soccorre l’umanità ed è soccorso dall’umanità.

 

SONO  AMMALATO  E  CIECO!

In don Peppino troviamo l’identico movimento: si riconosce povero, ammalato, carcerato bisognoso del Medico celeste e con pari intensità, in forza dell’ordine sacerdotale, si sente inviato agli infermi, carcerati, affamati e assetati nei quali riconosce la carne di Gesù.

Col cieco del vangelo grida: «O Gesù, apri i miei gli occhi, perché io veda le mie bruttezze per disprezzare me, veda le tue bellezze per amarti, poiché tu solo sei la luce in questo mondo tenebroso. Sono cieco e non vedo quanto mi ami, quanti doni mi hai fatto nonostante

la mia indegnità». E con sant’Agostino ripete: «Signore Gesù! Tu veramente buono, io cattivo; Tu Santo, io misero; Tu giusto, io ingiusto! Tu luce, io tenebra; Tu medicina, io infermità. Tu sollievo e gaudio, io sono la stessa tristezza.

Ecco, sospiro a Te e Ti chiamo: Soccorrimi e sanami. Ma chi è l’uomo che osi parlare al suo Dio? Perdona me che oso parlare a così grande Signore. La tribolazione che soffro mi costringe a parlarTi. Sono afflitto e mi avvicino al Consolatore; sono ammalato e sospiro al Medico; sono cieco e mi avvicino alla Luce. Gesù, abbi pietà di me. Ascoltami ché sono cieco e invoco Te. Dammi la mano Signore, perché venga a Te. Chi sono io che ti parlo? Sono una creatura infelice, vive poco tempo, ripiena di molte miserie, cieco, povero, nudo, soggetto a tante necessità! Ti prego, Signore Gesù, soccorrimi miserabile e aiutami con la tua fortezza. Vieni, Luce eterna, risplendi nel mio cuore, affinché per mezzo tuo veda Te e in Te solo io gioisca».

 

SPECIALISTA  DEGLI  AMMALATI

Un confratello ricorda che il Padre «aveva particolare attenzione per gli ammalati. Quando finiva in chiesa, subito scappava dagli ammalati, andando nelle loro case». Chi lo accompagnava rammenta che «si chinava sugli ammalati come Gesù». «Fra tante anime si occupò particolarmente di chi era ammalato » ed inculcava nei fedeli «grande amore per i sacerdoti, la preghiera per le vocazioni e l’amore per i nostri fratelli infermi». Mons Attilio Borzi, vicario generale della Diocesi di Palestrina che ben lo conosceva, lo definì «specialista per gli ammalati». In effetti «aveva delle tenerezze materne nei loro confronti e tanta pazienza: li pettinava, li aiutava... - Accarezzava e baciava i poveri», era la carezza di Gesù, medico delle anime e dei corpi. Le giornate, vissute tra Santuario e ospedale, gravitavano attorno al confessionale e al letto degli infermi. In Santuario accoglie e risana chi ha il cuore piagato, poi esce per visitare e sovente cercare gli ammalati.

Non conosce riposo. La visita agli infermi è il suo quotidiano respiro, sempre, anche durante le vacanze. Mentre si trova presso i parenti scrive alla Mamma sacerdotale: «Oggi ho visitato in Carovigno un Istituto per “Tracomatosi”… bambini difettosi di vista e la superiora mi ha accompagnato per i diversi reparti. È stata una bella occasione di carità. In questi giorni ho in programma di visitare altri ammalati perché sento questo bisogno di dedicarmi al bene delle anime, al di fuori di questo, mi sento fuori posto nel mondo». La visita agli infermi è la risposta ad un bisogno interiore, era nato per questo. Riconosce che la Mamma celeste, grazie alla mediazione della Mamma sacerdotale, lo ha educato a sviluppare questo dono: «Sei la mia Mamma, dono grande del Signore.

Sei la mia ricchezza vera che Gesù mi ha donato. Sei la mia guida nell’amare i fratelli. Grazie che mi hai insegnato ad amare gli ammalati,fratelli più bisognosi». La sollecita attenzione per gli ammalati affiora con candida semplicità anche da questa annotazione: «Un pomeriggio, dopo la celebrazione della Messa alle ore 19, sono andato a portare la Comunione e l’Unzione ad un anziano infermo. Il giorno dopo passando, l’ho visto con i familiari seduti avanti la porta, al fresco, e li ho salutati agitando la mano. Mi hanno risposto

invitandomi a sedermi un po’ con loro, l’ho fatto volentieri. All’inizio della conversazione mi hanno indicato un vecchietto che da anni non riceveva la Comunione, confessione e, seduta stante, l’ho confessato, promettendo che l’indomani sarei tornato a portare Gesù, ciò che ho fatto ». A chi lo ringrazia risponde: «Ogni volta che avvicino gli infermi mi sento più ricco, più buono».

 

«ERO  AMMALATO E  MI  AVETE  VISITATO»

Se chiediamo a don Peppino di svelarci la ragione del suo amore per gli ammalati ci sentiamo rispondere: «Ho appreso ad amare gli ammalati non come fratelli minorati, ma come figli privilegiati di Dio che avvicino con grande rispetto e amore. Sì, amore, perché ricordo le divine parole di Gesù: “Ero ammalato e mi avete visitato” (Mt 25,36)». La risposta sta tutta in questa breve invocazione: «O Gesù, che Ti sei nascosto negli infermi, dicendo: “Ero ammalato e mi avete visitato”, io vengo a visitarTi». In sant’Annibale trova un modello di amore a Cristo presente negli infermi, come ricorda frequentemente negli appunti per l’omelia: «P. Di Francia, in Piazza del Popolo, riconosce in un ragazzo il volto di Gesù». Il trasferimento nella comunità parrocchiale “Madonna della fiducia” (Zagarolo - RM), comporta un nuovo inizio, ma non si scoraggia perché l’obiettivo è sempre lo stesso: «Io sto bene in salute. Mi occupo anche qui a Zagarolo, ma più limitatamente, degli ammalati, anzi c’è una casa di cura per Sacerdoti infermi e vado ogni settimana, il giovedì, a visitarli per confessare e conversare». Proprio a Zagarolo inizia «un piccolo progetto: una visita agli anziani della Casa Serena di S. Vito con un gruppo di bambine per visitare Gesù anziano: “… Ero anziano e siete venuti a trovarmi”». Intanto continua a seguire gli ammalati di Messina, accompagnandoli con la preghiera e la corrispondenza. Sono tanti coloro che attendono un suo scritto; non trascura nessuno, risponde a tutti: «Vorrai intanto perdonarmi il ritardo, - scrive - ho tanti infermi che stendono le mani verso di me». Sa per esperienza che l’attenzione all’ammalato è fonte di grazia e gioia: «Comunicare con una persona inferma è una vera grazia. Ti ringrazio della gioia che mi comunichi quando posso avere la gioia di scriverti. Sarà una grazia particolare di Gesù il sentire gioia quando avvicino un infermo, quando posso comunicare con lui». «Vedo e sento presente Gesù in una sofferente, più che non lo senta nel Santo Tabernacolo». Questo non significa che trascuri l’Eucaristia, infatti nel «pomeriggio al solito trascorro due ore con Gesù nel tabernacolo». Eucaristia e servizio agli ammalati/poveri sono due inseparabili dimensioni dell’amore a Gesù. «L’Adorazione Eucaristica e la S. Messa – dichiara un testimone - costituivano la sua vita. A questo si aggiungeva il servizio che faceva agli altri».

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