La gioia di perdonare i peccati
La gioia di perdonare i peccati
Per padre Giuseppe confessare significa
“fare il mestiere di Dio” e sperimentare qualcosa
della gioia del cielo, dove si fa festa per un solo peccatore pentito.
Non so se vi siete mai chiesti cosa passa nel cuore e nella mente del Sacerdote prima, durante e dopo la confessione. Ci si può veramente sbizzarrire nelle risposte, formulando mille ipotesi, e magari passando da un estremo all’altro. Qualcuno può pensare che il Sacerdote rimanga sorpreso, scandalizzato, ma forse anche edificato non solo per penitenti che non hanno commesso peccato (che non esistono) ma soprattutto perché sinceramente addolorati. Probabilmente, il Sacerdote può anche rimanere indifferente in forza dell’abitudine. Siamo nel campo delle ipotesi e non è detto che siano sbagliate. Forse è più prudente affermare che solo Dio lo sa perché ogni Sacerdote è diverso dall’altro. Lasciamo perdere che cosa può pensare il Sacerdote durante la confessione. Chiediamoci invece: «Quale dovrebbero essere i sentimenti provati dal Sacerdote mentre amministra la misericordia di Dio?». La risposta può fare bene al penitente, ma può anche essere utile ai confessori.
I sentimenti del confessore
Il Catechismo della Chiesa Cattolica ricorda che quando il Sacerdote celebra «il sacramento della Penitenza compie il ministero del Buon Pastore che cerca la pecora perduta, quello del Buon Samaritano che medica le ferite, del Padre che attende il figlio prodigo e lo accoglie al suo ritorno, del giusto Giudice che non fa distinzione di persone e il cui giudizio è ad un tempo giusto e misericordioso. Insomma, il Sacerdote è il segno e lo strumento dell’amore misericordioso di Dio verso il peccatore» (n. 1465). Il Sacerdote nella Confessione, come nella Messa, opera “in persona Christi” ossia rende presente il Buon Pastore che cerca la pecora smarrita, incarna il Buon Samaritano che si piega sull’uomo ferito, è il Padre che attende e accoglie pieno di gioia il figlio che si era allontanato da casa. Questa in breve la fisionomia del confessore!
Nel cuore di don Peppino
Padre Giuseppe non ha avuto il tempo per leggere il Catechismo della Chiesa Cattolica pubblicato da san Giovanni Paolo II l’11 ottobre 1992, essendo morto il 30 Novembre successivo. Egli confessava secondo le indicazioni del Vangelo, seguendo l’esempio di Gesù e quindi in piena sintonia col Catechismo che si fonda sul Vangelo. Chi ha conosciuto e frequentato don Peppino, come lo chiamavano gli amici, assicura: «Sembrava che i consigli e gli insegnamenti di Giovanni Paolo II li avesse già ascoltati e messi in pratica in anticipo: stava ore nel confessionale, con pazienza e senza stancarsi mai, senza fretta, senza curiosità, senza meraviglia e insofferenza e senza perdersi in deleterie domande e insistenze. Mai mortificava o faceva vergognare di se stesso il penitente». Il Buon Pastore non sgrida la pecorella, il Samaritano non rimprovera l’uomo incappato nei ladroni, il Padre non sottopone ad interrogatorio il figlio pentito!
A cuore aperto
Chi ha frequentato padre Marrazzo ha avuto l’impressione di trovarsi davanti al Buon Pastore, al Buon Samaritano e al Padre misericordioso. Impressioni!? Ma padre Giuseppe cosa pensava del ministero della Confessione? Come cercava di viverlo? La risposta si trova riassunta in modo mirabile in uno scritto indirizzato ad Angiolina, sua figlia spirituale. «Gesù dice: “Si fa più festa in cielo per un peccatore che si converte che non per 99 giusti che non hanno bisogno di penitenza”. Forse, cara Angiolina, non hai provato la gioia di perdonare come l’ho provata io dinnanzi ad anime traviate, ma pentite, mi sono immedesimato della gioia che Gesù stesso ha dovuto provare e quella stessa gioia è trasmessa da Gesù al suo Sacerdote. È una gioia divina: quanto più misera è l’anima e quanto più grande il suo pentimento tanto più grande è la gioia della Sacerdote. Sono le gioie che egli incontra nel suo ministero».
La gioia di essere perdonati e di perdonare
Questa semplice e schietta confidenza fa svanire come neve al sole sofisticati ragionamenti e sospetti. Non è il frutto di studi teologici o di ricerche particolari, ma più semplicemente il risultato di una esperienza evangelica; sgorgata dal cuore di un Sacerdote “secondo il cuore di Cristo”, consapevole di essere sacramento di Gesù il quale non è venuto nel mondo per i giusti, ma per i peccatori. Il medico non si rallegra perché esistono gli ammalati, ma quando riesce a risanarli. Padre Marrazzo cerca di assimilare gli stessi sentimenti del Figlio di Dio, di cui è ministro, non solo prima della confessione, ma anche durante l’amministrazione del sacramento. Per Lui avere gli stessi sentimenti di Cristo non si esaurisce nella misericordia, ma sfocia nella gioia. In un appunto per l’omelia, leggiamo: «La gioia di Dio: perdonare! La nostra gioia: essere perdonati!». Il battezzato che si accosta al confessionale con le dovute disposizioni ritorna a casa pieno di gioia. Anche il Sacerdote si confessa e dopo essersi confessato, prova la gioia di ogni peccatore perdonato. Tuttavia, il Ministro prova una gioia sconosciuta al semplice fedele: la gioia di Dio che perdona. Si, perché «il mestiere di Dio - annota don Peppino - è quello di perdonare i peccatori». Rileggendo il Vangelo non possiamo che dargli ragione.