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Amare e farmi santo

 “Amare e farmi santo!

Non ho altra aspirazione”

Ricorre il 100° anniversario della nascita del servo di Dio p. Giuseppe Marrazzo.

Ha perseguito l’unico desiderio della sua vita: “Farmi santo!”. 

“UN’UMILE VITA D’AMORE”

Ho in mano il quotidiano di Messina “Gazzetta del Sud” del 1° dicembre 1992, giorno successivo alla morte di padre Marrazzo. Tra le tante notizie di cronaca ne trovo una dal titolo insolito “Un’umile vita d’amore” firmata da Gino Bartolone. La riassumo per voi. «Padre Giuseppe Marrazzo era un sacerdote rogazionista. Nulla di più. Ma qui c’è proprio tutto. Sacerdote. Non ho mai incontrato un prete come lui. E questa mia esperienza penso sia vicina a quella di innumerevoli altri. Perché padre Marrazzo era semplicemente un prete. Per trovarlo bastava entrare nel Santuario di Sant’Antonio. Era sempre lì, nella navata di sinistra, seduto a confessare, oppure immerso nella celebrazione eucaristica. In apparenza padre Marrazzo era solo questo; ma la profondità della vita trinitaria in lui spetta solo a Dio conoscerla e alla Chiesa interpretarla. “Senza di me non potete far nulla!”. Queste parole gli erano particolarmente care perché intimamente vissute. La sua persona irradiava l’umiltà e la semplicità dei santi. Padre Marrazzo era un umile del Signore. A sé non attribuiva nulla, tutto rendeva a Dio. Chi scrive ha avuto l’onore di vederlo più volte assorto in preghiera. Quando si fermava a contemplare il mistero eucaristico era un dono per i presenti. Padre Marrazzo confessava, diceva una buona parola, aiutava tutti; chi lo vedeva la prima volta veniva spiazzato da una caramella, che il padre donava a chi lo cercava. Ma quanta bellezza, quanta tenerezza paterna e materna in quel semplice gesto! Quando non era in chiesa, continuava a vivere ovunque e comunque il suo ministero: quanti poveri, quanti ammalati, quanti anziani da ieri sono più soli! Chi ha avuto la fortuna di accompagnarlo qualche volta nel suo “vagabondare” tra le povertà e le miserie – nascoste o meno – della nostra città, non potrà mai dimenticare quei momenti.

Se sant’Annibale ha avuto modo di riconoscersi a Messina in un suo figlio, padre Marrazzo era senza dubbio uno di questi. Alla notizia della sua morte improvvisa, persone di tutte le età e classi sociali si son recate a rendergli omaggio. La voce del popolo, si sa, talvolta è anche “profetica”: “È morto un santo!” si sentiva dire, e non pochi hanno preferito render lode a Dio con un “Gloria” piuttosto che recitare un “Requiem”. Di là da qualsiasi altra considerazione, quel che è certo è che Padre Marrazzo resterà nel cuore di molti: con la sua morte Messina ha sicuramente perso un grande sacerdote, ma ha guadagnato, per il popolo dei credenti, un nuovo amico presso Dio». Questa è la commovente testimonianza della gente. Ma padre Giuseppe come si vedeva? Qual’era il suo ideale? Quale il dichiarato scopo della sua vita? Su questo punto aveva le idee chiare: «amare il Signore, amare i miei fratelli e farmi santo! Non ho altra aspirazione».

 

COME SAN LEOPOLDO

Dal 1948 al 1956 esercita il ministero sacerdotale nel Santuario di Sant’Antonio (Me) dedicandosi specialmente alla confessione. È un’esperienza che marca profondamente la sua vita. Pur nella consapevolezza dei propri limiti, si sente fortemente portato verso i fratelli peccatori. Il suo modello è Gesù il quale non è stato inviato per i sani,ma per gli ammalati, per rinfrancare ed aiutare gli scoraggiati. In questo periodo, e precisamente nel novembre del 1952, il nostro giovane confessore di Messina chiede con fiducia l’intercessione dell’allora Servo di Dio p. Leopoldo Mandic’ morto a

Padova 10 anni prima: «O s. Leopoldo da Castelnuovo, voi che confessaste per circa 40 anni in Padova, ottenetemi che Messina diventi una seconda Padova per me. Che io diventi tanto santo, morto a me stesso e che faccia diventare il nostro Santuario un giardino profumato di virtù e di santi. Fatemi incontrare un buon padre spirituale e che io diventi il padre di tutti, che tutti quelli che si avvicinano a me siano presi dell’amore di Gesù, come il ferro dalla calamita». Cinque anni prima un altro Cappuccino, p. Angelico visitatore apostolico presso la giovane congregazione i Rogazionisti, gli aveva detto «sarete apostolo del confessionale».

La profezia si realizzerà anche se nell’immediato tutto sembrava andare per un altro verso. Infatti nel 1956 i superiori lo trasferirono all’Istituto Antoniano di Padova con l’ufficio di padre spirituale dei seminaristi e promotore vocazionale. Quello di Padova fu un soggiorno breve e – a suo dire – spinoso. Non sappiamo in che cosa consistessero le sue spine ,ma possiamo immaginarlo: probabilmente nell’impossibilità di esercitare il ministero della confessione. Tuttavia il soggiorno Padovano, che si concluse nel 1957, avvicinò p. Giuseppe a p. Leopoldo, il piccolo frate che aveva trascorso la vita in massima parte nell’amministrazione del sacramento della riconciliazione. In quel periodo crebbe l’ammirazione e la devozione per p. Leopoldo, considerato dal quarantenne p. Giuseppe come modello ed intercessore. Infatti, proprio a Padova, il primo ottobre 1956 si rivolge come un bambino alla Mamma celeste chiedendogli la grazia che più gli sta a cuore: «Mamma, ora Ti chiedo di essere Sacerdote veramente santo e di salvare anime. Mandami, ogni giorno, anime da aiutare e salvare. Mamma se ti piace, fammi tornare al più presto a Messina a lavorare nel Santuario come una volta. Tu sai quanto ho sofferto. Fammi essere come p. Leopoldo che confessò circa 40 anni. Mamma, aiutami a diventare santo assieme alle anime affidatemi». Il 31 gennaio dell’anno successivo – dimorando ancora a Padova – scrive una fervorosa supplica fondata sulla promessa di Gesù “qualunque cosa chiederete nel mio nome io ve la concederò”. Chiede la grazia di obbedire sempre ai superiori implorando il «dono di conquistare i cuori e diventare un altro p. Leopoldo nel confessionale »; ringrazia il Signore anche per le croci «specie la croce del trasferimento da Messina», aggiungendo «fammi lavorare nella tua chiesa, e se Ti piace, ritornare nel Santuario a Messina». Al nostro servo di Dio non interessa Messina, ma il Santuario di sant’Antonio che si trova a Messina, unico luogo in cui i Rogazionisti del tempo potevano esercitare il ministero della confessione. Nell’anno successivo, 1958, i superiori lo trasferiscono al Santuario di Sant’Antonio, in Messina, dove riposano le spoglie mortali di sant’Annibale. Dopo un secondo trasferimento a Zagarolo (Rm) ritornerà definitivamente nella città dello stretto dove il 30 novembre 1992 ritorna al Padre. Il Signore, dopo averlo purificato con l’obbedienza vissuta alla luce dell’evangelico “chi ascolta voi ascolta me”, gli concede la grazia tanto invocata trascorrendo complessivamente a Messina 40 anni in confessionale. Ritorna alla mente la richiesta: «Mamma celeste fammi essere come p. Leopoldo che confessò circa 40 anni. Mamma, fammi santificare me e le anime affidatemi». Ha trascorso l’esistenza nel confessionale, collaborando con Dio nel perdonare perché, a suo dire, “perdonare è il mestiere di Dio”.

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