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PREGHIERA VIVENTE

P. Zamparini Agostino

PREGHIERA VIVENTE

La straordinarietà e l’eroicità della vita di don Peppino consiste nell’essere stato uomo di preghiera e di azione; un Rogazionista ad litteram se per rogazionista intendiamo, secondo l’insegnamento di sant’Annibale, l’uomo/donna di preghiera (rogatio) e di azione (actio).

La preghiera sostiene e orienta l’azione. Pregare per fare e fare secondo quello che chiediamo e diciamo nella preghiera. È questa una verità che affiora dalla storia dell’Europa e che don Peppino conosce molto bene come attesta una pagina del diario risalente al 1936 «i cristiani hanno civilizzato il mondo con la preghiera e il lavoro e se si studia un po’ la storia delle grandi città dell’Inghilterra, della Germania, si vede che prima erano un monastero. Nel Medioevo era così alta l’idea del lavoro che qualche cavaliere incontrando un contadino scendeva da cavallo e baciava le mani callose dell’operaio, perché - diceva – quelle mani sono state santificate dal lavoro di Cristo». Padre Marrazzo impressionava i fedeli non solo per la preghiera, che era l’anima del suo ministero, ma anche per il suo lavoro: l’esercizio quotidiano della confessione, la visita agli infermi.

Fino all’ultimo giorno della sua vita terrena si impegnò a vivere la fede radicata in Dio, alimentata dalla preghiera, vissuta nel dialogo personale col Padre che è nei cieli. Si alzava alle 4 del mattino per rimanere solo col Signore, a porte chiuse. Quando si aprivano le porte del Santuario s’immergeva tra la folla per ascoltare, sostenere, educare e perdonare i numerosi fedeli che trovavano in Lui un sicuro punto di riferimento per incontrare il Signore.

Come Giovanni Battista, la sua gioia consisteva nel portare i fedeli a quello stesso Signore che aveva incontrato a porte chiuse.

 

“PREGHIERA VIVENTE”

Il sig. Giuseppe Cicciò, che ben conosce padre Giuseppe, lo definisce «“una preghiera vivente”. La preghiera era il suo habitat, sempre e dovunque». È una definizione moto bella! Ma cosa significa? Vuol dire che era continuamente alla presenza del Signore, non solo quando stava in adorazione davanti al Sacramento, celebrava la Messa o recitava il Rosario, ma sempre e dovunque. «La vita di preghiera - ci assicura il Catechismo della Chiesa Cattolica - consiste infatti nell’essere abitualmente alla presenza del Dio tre volte Santo e in comunione con lui. Tale comunione di vita è sempre possibile, perché, mediante il Battesimo, siamo diventati un medesimo essere con

Cristo» (n. 2565).

La vita di preghiera di don Peppino andava ben oltre il semplice e meccanico “dire preghiere” e consisteva nell’essere abitualmente alla presenza di Dio, nel vivere in relazione filiale col “Papà che è nei Cieli” come si vivono i rapporti personali, quelli con i familiari più cari, con i veri amici; soleva ripetersi e ripetere che «bisogna pregare con la semplicità, la fiducia e la confidenza di Gesù e degli apostoli: Pater noster qui es in caelis». Giustamente osserva che «ogni volta che leggiamo nel Vangelo che Gesù pregava, vediamo che cominciava sempre con la parola: “Padredimitte - noster…” pregare

come il figlio prega padre».

La preghiera di don Peppino era semplicemente “preghiera cristiana” perché consisteva nel “guardare Gesù costantemente e in maniera sempre nuova, parlare con Lui, stare in silenzio con Lui, ascoltarlo, agire e soffrire con Lui”. In questo modo ha scoperto “in Cristo la sua vera identità”.

La sua vita è preghiera perché vissuta alla presenza del Signore, ma ancor più perché vissuta “nel Signore”. Giunto all’età di 64 anni fa un bilancio degli anni trascorsi e si chiede «Quale la parola più ripetuta e vissuta nella mia vita?» Immediatamente risponde: «Stare con Gesù, vivere di

Gesù: “Mihi vivere Christus est” [Fil 1,21] … Vivere per Gesù. Essere Gesù per le anime». Chi lo ha conosciuto testimonia che «i suoi atteggiamenti rivelavano che “stava sempre alla presenza di Dio”». Egli stesso è stato un segno e un richiamo della presenza di Dio, uno specchio che rifletteva la luce abbagliante del Dio invisibile. «Si è impegnato a conformarsi a Cristo - dichiara uno dei teologi censori - per poter essere segno della Sua presenza e strumento di misericordia specialmente nei confronti dei peccatori che dovevano trovare in Lui Gesù». Il suo tratto gioioso era dovuto al fatto che viveva alla presenza di Dio per cui poteva dire col salmista: «Alla tua presenza, Signore, gioia senza fine» (Sal 15,11), gioia che anticipava quella nella quale adesso è immerso.

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