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L’uomo della misericordia

Profilo spirituale di padre Giuseppe Marrazzo

di Mons. Michele Giacoppo*

 

Natoil3Maggio1917, ma dichiarato al Comune di S. Vito dei Normanni (BR) il 5 Maggio, da Francesco e da Concetta Puglisi. Visse gli anni dell’infanzia con la sua famiglia: si viveva del lavoro dei campi. Una vita umile e semplice, intessuta di relazioni familiari serene e a contatto con la natura, ma anche con sani principi che segnavano la sua crescita umana e spirituale. Ricordava lui stesso che mentre era nei campi teneva il catechismo aperto, appoggiandolo su una pietra, e quando poteva andava in chiesa

per sostare davanti al Tabernacolo, verso cui sentiva una particolare attrazione. Amava il Signore. In questo lo aiutava anche la contemplazione della natura. Tre amori, il Signore, la natura e la famiglia, forgiano il suo carattere semplice e forte, umile e contemplativo. Frequenta la scuola elementare del suo paese e a undici anni –il 3 Giugno 1928 – riceve la Cresima. All’età di13 anni entra nella scuola apostolica in Oria (Br), dove matura la sua scelta; da qui passa a Trani (1935-1939). Sempre a Trani emette la prima professione religiosa. Era molto felice della sua vocazione; infatti da sacerdote soleva dire: «bisogna essere convinti della chiamata del Signore». Si distingueva per pietà, correttezza e disciplina. Sentiva un forte attaccamento a sant’Annibale, suo fondatore, e alla Congregazione dei Rogazionisti, vivendo con convinzione il carisma del Rogate. A Messina completa gli studi di teologia e il 9 Maggio 1943 viene consacrato sacerdote nella Chiesa Madre di S. Sebastiano in Barcellona Pozzo di Gotto (Me). Per la sua devozione a Maria, celebra la prima messa a S. Lucia del Mela (Me) nel santuario della Madonna della Neve. Inizia il suo ministero pastorale al santuario di S. Antonio in Messina come responsabile della propaganda antoniana e successivamente, con lo stesso incarico, a Trani; quindi di nuovo a Messina. Tra il 1956-1957è a Padova come P. Spirituale e promotore vocazionale. Quindi è trasferito a Messina come rettore del Santuario di S. Antonio, animatore delle figlie di Maria e delle zelatrici del Rogate, ma la sua principale attività è nel confessionale. Dal 1972 al 1974 è trasferito a Zagarolo(Roma) come vicedirettore del noviziato rogazionista e parroco della chiesetta della Madonna della Fiducia. Esperienza vissuta con profonda sofferenza interiore, ma con grande spirito pastorale. Ritornato come rettore nel “suo” Santuario di S. Antonio, diviene il punto di riferimento come confessore e P. Spirituale di tantissimi fedeli fino alla sua morte, avvenuta nelle notte del 30 novembre 1992.

 

RELIGIOSO ROGAZIONISTA

Dimesso ed umile nel comportamento, amabile nel tratto, attento nell’ascolto, aveva un cuore semplice...quasi di fanciullo. Ma il suo stile di vita era di grande correttezza e di vigore morale. Oggi lo diremmo “mite di cuore”, secondo l’accezione evangelica, perché era forte delle sue certezze. Le sue giornate erano un continuo “Amen” al Signore. La sua unica ricchezza era Dio, a cui filialmente si abbandonava. L’amore totale al Signore lo rende disponibile agli altri, accogliendo quanti erano nel bisogno. A tutti mostrava il volto amorevole di Dio; sia quando era al suo posto di confessore sia quando si faceva carico delle sofferenze dei malati che abitualmente andava a visitare nelle case di cura o nelle loro abitazioni. Per tutti aveva una parola di consolazione: l’incontro col Padre dava pace e serenità. Nella sua persona prendeva forma visibile il volto misericordioso di Dio. Per la sua dedizione senza limiti (non badava agli orari) e per il suo costante impegno, a volte non si sentiva compreso dai confratelli: soffriva, ma non mancava di rispetto. In silenzio andava avanti, pregava senza scoraggiarsi. Il profondo spirito di fede l’aiutava a fare quanto sentiva per il bene degli altri. Anche verso i superiori, nei quali avrebbe desiderato vedere atteggiamenti più paterni, mostrava rispetto, docilità e spirito di obbedienza. Attingeva forza dalla preghiera costante soprattutto davanti al Tabernacolo. La sua era una spiritualità Eucaristica, anche se risaltava la dimensione devozionale alla Madonna, ai santi Annibale ed Antonio, al Curato d’Ars, a P. Leopoldo, e a Teresa di Lisieux. La forza della preghiera lo sostiene nei momenti della prova e della sofferenza, come quando, per dicerie sorte all’interno dell’associazione, i superiori lo allontanano da Messina, trasferendolo a Zagarolo (Roma). P. Marrazzo vive questo periodo con sofferenza; soffriva, senza lamentarsi, con l’atteggiamento di chi si immola. Gli mancava il Santuario di S. Antonio: lì si sentiva padre che vive il ministero del perdono. Era uomo di speranza. L’amore a Dio e il bene del prossimo erano più forti di qualunque sofferenza. La strada da percorrere nei tempi difficili non era il timore, ma l’amore. Guardando Gesù Crocifisso attinge serenità ed equilibrio perché «se il chicco di frumento non muore, non potrà portare frutto». Viveva intensamente la sua spiritualità nella fedeltà al carisma del Rogate. La fedeltà al carisma conduce al fine essenziale della vita consacrata: decidersi per Gesù Cristo, di cui si sente “innamorato”. Da questo amore matura uno stile di vita permeato dai consigli evangelici: viveva fino in fondo la libertà della povertà, la gioia della castità, la serenità fiduciosa dell’obbedienza in un clima di fede, di speranza e di carità. Era un testimone dell’Amore di Dio. Ben a ragione diceva Paolo VI: «Il mondo di oggi più che di maestri ha bisogno di testimoni».

 

MINISTERO SACERDOTALE

P. Marrazzo è stato “testimone” dell’amore misericordioso del Signore. Viveva in sintonia con Dio abbandonandosi alla sua volontà. Soleva dire: «Abbiamo fiducia nel Signore, Lui penserà a tutto». La sua spiritualità, che poteva apparire devozionale, si fondava nell’Eucaristia. La celebrazione della Messa era intensa; sembrava vivere in sé il mistero che celebrava; durante l’Adorazione Eucaristica appariva trasformato. Davanti all’Eucaristia imparava l’arte del Buon Pastore che si prende cura delle pecorelle: a tutti si avvicinava mostrando un cuore paterno e materno nel comprendere ed «asciugare le lacrime» di tutti. Particolare attenzione mostrava verso i malati e i poveri, che aiutava soprattutto con la collaborazione dei figli spirituali. La caratteristica del suo Ministero era l’amore al confessionale. P. Marrazzo è stato uomo di misericordia secondo le parole che Giovanni XXIII ha pronunciato all’apertura del Concilio Vaticano II: «La sposa di Cristo (cioè la Chiesa) preferisce usare la medicina della misericordia invece di abbracciare le armi del rigore». P. Marrazzo aveva imparato dalla mamma ad essere misericordioso. Col suo ministero ha reso visibile il volto misericordioso di Dio. Di grande valenza è la coincidenza della chiusura dell’inchiesta diocesana su P. Marrazzo mentre la Chiesa si prepara al Giubileo straordinario della misericordia. Il ministero del perdono era al centro delle sue giornate. A lui interessavano le anime; per questo ripeteva a tutti: «Fatti santo» e: «innamorati di Gesù». La caratteristica del ministero del perdono era il sacrificium caritatis: era eroico; non si è mai stancato di confessare. A lui accorrevano laici, religiosi, religiose e sacerdoti. Non guardava l’orologio, a ciascuno dava il tempo necessario, facendolo sentire “unico”. Il servo di Dio Mons. Fasola definiva il santuario di S. Antonio «la clinica spirituale della città di Messina» della quale «P. Marrazzo era il medico di guardia». Accoglieva esortando a credere nella misericordia di Dio. Confessava “mettendosi nei panni di Gesù” che non è venuto per i giusti, ma per i peccatori. Aveva un solo desiderio: fare incontrare il penitente con la Misericordia di Dio. Dava l’impressione che i peccati degli altri se li portasse dentro e ne sentisse il peso al punto da curvarsi fisicamente. «Ti porto con me sull’altare», diceva a tutti, e offriva “la caramella” per addolcire la sofferenza del penitente, o da portare al parroco per significare che quella persona si era confessata con lui. Accompagnava i penitenti. Lo stesso padre raccontava che la sera, raccogliendosi davanti al Crocifisso della sua stanza, rivedeva i volti di quanti nella giornata avevano aperto il cuore affidandosi alla sua preghiera. Pare che il suo essere padre si rivelasse anche nel fatto che, più che dare la penitenza, se ne faceva carico lui stesso. Una interessante intuizione della sua sensibilità paterna è quella che oggi chiamiamo la Maternità sacerdotale, condivisa con alcune signore. È da dire subito che negli scritti ci sono pochi accenni, pensieri senza una elaborazione teologica e senza organicità strutturale, anzi, alcune affermazioni possono suscitare qualche perplessità, ma una lettura più attenta va inserita nell’ottica di una esperienza mistica. P. Marrazzo viveva in modo forte il senso della paternità spirituale e desiderava che ci fossero delle mammechedovevanoesseredelle piccole Marie per i sacerdoti. In fondo l’intuizione nasceva dal suo bisogno e dalla sua esperienza: legato alla sua mamma terrena, di cui, negli anni di formazione, sentiva la lontananza, pian piano crescendo in maturità umana ha sublimato questo bisogno nella figura di Maria, madre di Gesù. Era convinto che in ogni donna battezzata ci fosse la vocazione alla maternità sacerdotale. Sapeva che questo discorso non era facile da comprendere; per questo ne parlava solo a sacerdoti dalla semplicità evangelica, e chiedeva alle donne più sensibili di essere verso i sacerdoti come la Madonna è stata per Gesù. Forse nel portare avanti questa intuizione a noi può sembrare che P. Marrazzo sia stato un po’ “ingenuo” o anche poco prudente giacché non tutte le donne erano pronte a vivere nella giusta dimensione un così alto ideale; ma è vero pure che alcune di loro ne hanno compreso il senso profondo, concretizzandolo e vivendolo come“vocazione”. Questa intuizione andrebbe valutata con serenità dopo l’esperienza vissuta e raccontata dal card. Kettler e la riflessione del card. Hummes.

 

CONCLUSIONE

Quante suggestioni ho sentito nel cuore in questi 7 anni in cui ho presieduto il tribunale ecclesiastico! Dalla vita semplice di P. Marrazzo, fedele nel ministero, metodico nei suoi orari e nel portare avanti i suoi impegni, è emerso un dato fondamentale: viveva in modo straordinario le cose ordinarie. La straordinarietà e l’eroicità della sua vita sta proprio in questo: uomo di preghiera ha lavorato molto su se stesso; ha vissuto il quotidiano con puntualità e continuità come luogo «teologico» dove incontrare Dio. Per questo quanti lo hanno conosciuto credevano che in lui abitasse il Signore, lo ritenevano santo. Ne è testimonianza eloquente la folla immensa che riempiva il santuario, ma anche le vie adiacenti, in occasione dei funerali del padre. P. Marrazzo è ancora un fulgido esempio di spiritualità sacerdotale. Può essere modello di vita per vivere la chiamata alla santità nelle cose semplici e feriali.

 

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